itriART intervista Clet Abraham -1°giugno 2023

È fine maggio e mi trovo a Tirana

Sono giornate piovose e mentre raggiungo una Piazza Scanderbeg lucente e ricca di quei riflessi da mosaico dopo il temporale, sulla Rruga Dëshmorët un cartello cattura la mia attenzione.

È un segnale stradale, un divieto di accesso insolito. Sì, insolito, perché sembra che dentro di esso stia succedendo qualcosa: una figurina umana sta venendo fuori da lì. È un NO al divieto, è un “sai che c’è, oh Divieto? Io me ne vado!”. 

Mi fa dapprima sorridere e poi corrugare la fronte e dico fra me “ma lui è Clet Abraham!”. 

Continuo a guardarmi intorno. Ne trovo altri, disseminati nello stesso quartiere di Blloku, ma poi qualcosa sembra un po’diverso, alcuni lo hanno copiato, come il cartello di direzione obbligata della Rruga Brigada VIII – “Nice, but this not mine” -. 

Sono sulle sue tracce, cammino per le strade della capitale e finisco con il controllare tutta la segnaletica (!). 

Poi, accade che, in quella sospesa atmosfera balcanica, l’artista e lo storico dell’arte stabiliscano un contatto, parlano dapprima del segno e del linguaggio asemantico, poi degli interventi di Street Art in Sardegna, a Cagliari, Mamoiada e Sassari, fino a questa intervista per itriART che vi lascio qua sotto con grande orgoglio e riconoscenza verso l’artista.



Clet Abraham a Tirana
 

itriART: 

1.     Qual è stata la sua formazione artistica? Nel suo account Instagram compare un grande Autoritratto di circa 30 anni fa, qual è il suo rapporto con la pittura e con altre arti?

 

Clet Abraham: “Buongiorno 

1. Ho avuto un percorso abbastanza classico, passando per l’accademia di belle arti di Rennes in Francia. A parte qualche esperienza di pittura astratta sono sempre stato legato a un’arte figurativa. Finora ho trovato una giustificazione dell’arte particolarmente nelle opere di Bruegel, un’arte narrativa e espressiva che ha il compito di comunicare visivamente delle storie, dei contenuti o concetti di maniera esplicita e popolare. Una comunicazione a portata di tutti”.

 

itriART: 

2.     Lei ha realizzato interventi di Street Art in moltissime città d’Europa, in Asia, negli Stati Uniti. I temi che ha realizzato sui cartelli stradali variano dalla mitologia, alla religione, alla storia (come per esempio quello geniale in Rue Jeanne D’Arc!), alla musica e molti sono dedicati ai più deboli. Altri sono chiavi per leggere una satira, una critica, un pensiero gentile. La sua arte sulla segnaletica stradale non impedisce infatti di arrivare a destinazione, ma permette semmai di proseguire il viaggio con una riflessione. L’artista crea un cortocircuito, lei ha affrontato moltissimi controsensi e ha vinto, come per l’opera L’uomo comune. Come sta cambiando il modo di recepire e accogliere la Street Art nelle città?

Clet: 

2. “Il mio lavoro attraverso i cartelli stradali è strettamente collegato alla legge e alla sua divulgazione nello spazio pubblico. Non rimetto in questione la legge in sè ma i suoi metodi autoritari e disumani, il suo modo robotico e il pensiero unico veicolato.

L’arte sta cercando maggior spazio attraverso la Street Art, nello spazio pubblico ma anche nel sistema tra potere, Stato, e popolo. 

Sto cercando in particolare, attualmente con dei confronti in tribunale, che venga riconosciuto ulteriore metodo di espressione usando la legge stessa: la libertà di espressione e la libertà dell’arte. 

Credo nell’ utilità educativa di una maggiore presenza dell’arte nel nostro quotidiano comune”.

 

 

itriART: 

3.     Ma se le chiedo “brutalmente” come le è venuta la prima idea sul primo cartello stradale, saprebbe ricordarlo? Sovrapponendo ad un segnale stradale, dal significato univoco, un segno, un simbolo o una linea lei crea un nuovo messaggio, inedito, che può avere un ulteriore significato o più. Generalmente un messaggio sociale. La sua quindi, appare un’arte dal contenuto sociale esplicito, si riconosce nell’ “Artivismo”?

 

Clet:

3. “I cartelli stradali sono comunicazione universale e popolare, hanno però una deficienza di contenuto, che ho voluto colmare. 

Ho pensato dì rimetterli a livello, con le capacità cognitive umane, ma in particolare a Firenze con i valori estetiche e umanistiche del contesto

Il primo cartello è stato una pietà sotto la T della strada senza uscita, ho cercato di adattare il mio disegno alla necessità di sintesi, immediatezza.

Il gioco mentale è di riuscire a mantenere una ricchezza di contenuti con una drastica semplificazione. L’obiettivo è un’arte “utile” a la portata di tutti, in particolare a chi non ha opportunità di confrontarsi.

In questo senso è sicuramente un lavoro politico, ma anche perché prova ad arginare la parte più umiliante e distruttiva dei poteri forti verso l’unicità di ogni individuo.

Artivismo senz’altro”.

 

 

Federica Maria Itria Scano

Commenti