L’uso del colore nello scenario monocromo di 1984 di Orwell ed il post-apocalittico in Diamond Dogs di Bowie. La censura dell’artista in transizione

di Federica Maria Itria Scano

 

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Fra i molteplici punti di vista da cui si può osservare l’opera di George Orwell Nineteen Eighty-Four, uno, sicuramente molto cuspidale, è quello che riguarda l’uso del colore nella stesura del testo. 

In questi termini, l’impressione visuale che si percepisce dalla narrazione è quella di uno svolgersi della trama in un’ambientazione monocroma.

Prendendo infatti in esame l’analisi statistica delle parole, notevoli sono le attestazioni del nero e del bianco, assolutamente maggioritarie rispetto ai colori: blu (12 menzioni), azzurro (1 menzione), verde (10 menzioni, anche nella variante greenish, “verdastro”), giallo (4 menzioni), rosso, magenta e color ciliegia (12 menzioni), rosa (anche pinkish, 8 menzioni); infine grigio (8 menzioni) che rappresenta la via di mezzo fra bianco (oltre 60 menzioni) e nero (oltre 50 menzioni).


grafico del computo indicativo della comparsa delle parole riferite ai colori in 1984 

Per quasi la metà dei casi, il bianco indica uno stato del volto, (deathly whiteas white as chalk) delle labbra, oppure una condizione di malattia generalizzata del corpo. 

Nel restante dei casi il bianco indica il freddo, immacolato, mastodontico, monocromo aspetto degli edifici dei Ministeri del governo o del vestiario degli addetti ai lavori.

Il nero è anche esso spesso riferito a caratteristiche del volto (baffi e capelli), ad indumenti (cappotti e divise) ma anche armi (manganello), ad emozioni (panico).

Più in generale, i colori sono impiegati con radi e misurati tocchi disseminati lungo il testo come spie, per dare effetti fortemente evocativi di carattere sinestetico (il “rosastro” e grigio del pasto della mensa, l’imprecisato «liquido rosso scuro», che non è chiamato vino).

Tali spie cromatiche svolgono la funzione alquanto strategica di mostrarci vividamente l’immagine di qualcosa di deteriore, proprio per effetto del forte stacco rispetto alla monocromia di fondo.

Questo celebre immaginario distopico di Orwell ha avuto una eco importante fino ai nostri giorni, influenzando numerose opere nei molteplici settori dell’arte.

In campo musicale, 24 anni dopo, nell’estate del 1973 David Bowie scioglie gli Spiders of Mars e si muove alla volta di una nuova rotta artistica.

La sua attenzione verte su due generi: il teatro ed il musical. 

La scrittura teatrale era per una versione inedita di Zigghy Stardust, mentre per il musical, che in quei mesi era in fase di scrittura, collabora assieme al drammaturgo Tony Ingrassia e si ispira proprio alla celebre opera di Orwell 1984.

Purtroppo però il progetto non avrà la trasposizione immaginata: Bowie non ottiene i diritti d’autore sull’opera orwelliana e così, musica e parole di alcuni brani già definiti, confluiscono nella seconda metà delle tracce dell’ottavo album pubblicato dall’artista: Diamond Dogs, un disco dal sound duro e tagliente, la cui ambientazione è lo scenario post-apocalittico di un’America del futuro autodistruttiva e lacerata, non dissimile a quello descritto nel romanzo di Orwell.

I testi hanno anche una seconda matrice: sono ispirati dalla penna di William S. Burroughs e, in particolare, al suo metodo di scrittura “cut-up”, che consiste nello scrivere due paragrafi su due argomenti diversi, estrarne gli elementi salienti per poi tagliare le frasi e rimetterle insieme in un processo parzialmente casuale, come in un caos controllato.

L’effetto è disturbante. L’atmosfera, per l’appunto, distopica.

«Guardando indietro, quello della distopia è stato un tema forte nel lavoro che ho svolto nel corso degli anni»

Spiegherà nel 2002 a “Mojo”lo stesso David Bowie.

Il titolo dell’album, traducibile in italiano secondo alcuni come “cani amorevoli” dove l’aggettivo diamond è assimilabile agli equivalenti “prezioso”, “brillante”, e, quindi, “astuto” rappresenta il trait-d’union con l’immagine realizzata dal belga Guy Peellaert per la copertina.

Peellaert, fotografo ed illustratore fumettista, lavora su alcuni scatti realizzati da Terry O’Neill per una sessione fotografica in cui Bowie si fa ritrarre accanto ad un cane di razza alana. 

L’idea di Bowie è quella di creare un altro cut-up, questa volta non di un testo ma dell’immagine rappresentativa della copertina, immersa in un contesto trasognato e dalle tinte allucinate lavorate per strati progressivi di aerografo e popolata di creature dal carattere marcatamente freak o desunte da contesti verosimilmente circensi per i quali l’uso della tecnica aerografa commista alla fotografia si rivela particolarmente azzeccata (si pensi alle figure grottesche dei cartelloni del luna park di Coney Island).

Fotomontaggio e pittura.

Uomo e animale.

L’esito è quello della potente immagine dell’artista in transizione, una creatura ibrida dalla posa rilassata e audace, con il busto di Bowie e gli arti inferiori di cane. 

È stata, questa, la causa della sua censura, poiché gli animali notoriamente non indossano della biancheria, lo scandalo esplode alla vista (o, meglio, intravista) immagine dei genitali, anche questi ibridi, del tutto coerenti al concetto di transizione che l’artista intende comunicare.


immagine ispirata alla copertina di Diamond Dogs, mix media, di F. M. Itria Scano, 2022.

Ed allo scandalo, segue, puntuale, la censura.

Un colpo di aerografo scuro, anzi, scurissimo, per gettare letteralmente nell’ombra e destinare possibilmente all’oblio una parte cruciale dell’immagine di un sesso che, come Federico Zeri ha ripetutamente espresso, ci siamo, specie nel XX secolo, disabituati a leggere ma che era frequente e del tutto assimilata e naturale in tutta la cultura classica e medievale; si pensi ad esempio, alle raffigurazioni dei genitali nel Bambino Sacro: erano figura simbolica esemplificativa del “vero Dio e vero uomo”.

È proprio in questa immagine che possiamo rinvenire il richiamo alle descrizioni, anche di colore, di Orwell e che Bowie traspone con la sua personale impronta distopica: lo scandalo dell’immagine ibrida della creatura bowiana creava un momento di transizione sospeso fra un concetto di umanità e di ferinità esattamente come il colore in 1984 conduce il lettore a percepire il senso di passaggio tra la civiltà ed il nuovo ordine dello stadio totalitaristico del Big Brother.

Ciò ci consente di trarre un altro spunto di riflessione: sia Orwell che Bowie ci offrono una rappresentazione della censura

In Orwell la neolingua si caratterizza proprio per una costruzione per elisione delle parole non utili al Governo, e l’assenza di una gamma di colori accesa in quasi tutto il romanzo, contribuisce a descrivere il contesto di chiusura censoria della società; Bowie subisce egli stesso la censura, a cagione dell’immagine scandalosa della copertina.

Ci si potrebbe domandare se siano le immagini distopiche o la lingua, come naturalmente intesa, a determinare un danno sociale oppure la censura stessa a determinarne di ben maggiori.

Tale interrogativo è risolto senza dubbi sul favore della libertà come strumento di evoluzione dell’uomo e della società sia in Bowie sia, anche se dietro un romanzo cupo e distopico e si potrebbe dire a contrario - ossia sottolineando il valore della libertà non in positivo, ma attraverso la descrizione  delle brutture della più totalizzante delle dittature- in Orwell.

 





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