FRANCESCA CATALDI: TRA MATERIA E LINGUAGGIO.

BREVE ANALISI DEL RAPPORTO TRA L'ARTISTA, LA MATERIA ED IL LINGUAGGIO IN UN'IMPORTANTE ESPONENTE DELL'AVANGUARDIA FEMMINILE ITALIANA ED INTERNAZIONALE

 

di Federica Maria Itria Scano

 

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Francesca Cataldi è nata a Napoli, dove si è diplomata all’Accademia di Belle Arti. 

Vive ed opera a Roma. 

È docente presso l’Europäische Akademie Für Bildende Kunst di Trier, in Germania.  

È consulente per l’arte al canale televisivo di RAI International. 

Dal 2008 realizza video in collaborazione col fotografo Riccardo Pieroni. 

Ha tenuto la sua prima mostra personale nel 1964 e in seguito numerose altre in Italia.  

Gli esordi della sua attività artistica sono strettamente pittorici, legati sia alla pittura informale che materica. 

Dalla fine degli anni Settanta, precisamente dal 1979, Francesca Cataldi inizia un percorso di ricerca visuale volto all’avvicinamento della terza dimensione. 

Il tramite tra l’elaborazione bidimensionale dell’immagine e la nuova facies scultorea è costituito dai materiali poveri e urbani quali il ferro, la vetroresina, il rame, il bitume catrame, il vetro, il cemento, la cellulosa, e spazia su cellulose, carte vergate a mano e fotoincisioni. 

Questi materiali non convenzionali sono generalmente recuperati nelle discariche di inerti edili ed industriali e sono, durante tutto il corso degli anni Settanta e Ottanta,  ancora del tutto distanti dal concetto contemporaneo di “riciclo”. 

Scopo dell’artista è quello di conferire ai cascami recuperati presso gli sfasci del ferro una nuova collocazione nel mondo; essi sono definiti 

 «frammenti di storie di distruzioni e rinascita»

che acquisiscono, attraverso il passaggio nel fuoco, lo statuto di «memorie rivisitate»: la trasformazione della materia avviene come in un saggio iniziatico attraverso l’impiego della fiamma ossidrica.  

Attraversando la fucina dell’artista i materiali di  recupero sono sottoposti a vari passaggi. 

I materiali vengono infatti sovrapposti, fusi o messi a macerare sotto l’acqua, nella ruggine, nel vetro al fine di ottenerne nuovi brodi alchemici e primordiali, delle acque vive, cariche di elementi e ioni come presupposti essenziali di una nuova identità.

A partire dalla metà degli anni Ottanta Francesca Cataldi ha poi operato un nuovo passaggio della materia del tutto inedito: dal forno allo scanner; a riprova del fatto che, in fondo, il salto da Efesto a Turing, non sia così ampio e incolmabile.  

Attraverso questo operare l’artista ha consentito al materiale dimenticato, destinato alla corrosione del tempo e all’oblio dell’uomo, di  ridiventare segno, e poi ancora materia e quindi definitivamente opera

Un nuovo passaggio così si compie, come una resurrezione efestiaca, per la materia che attraversa nuovamente il fuoco e assume nuovi significati rielaborati nell'inconscio dello spettatore attraverso giochi di luce e volumi. 

Per cercare un equivalente figurativo, si potrebbe affermare che Francesca Cataldi è la Pele della mitologia hawaiiana, divinità del fuoco, della luce, della danza, dei vulcani e della violenza.  

Le appartengono la creazione ma anche la distruzione. 

La sua dimora è situata all'interno del vulcano Kilauea, uno dei vulcani più attivi e turbolenti della terra. 

Del resto la Cataldi, come Pele, nasce in una città magmatica,  all’ombra del Vesuvio. 

Il modus operandi dell’artista è caratterizzato da un’entropia che investe e riassume in un solo gesto estetico di forgiatura materia e linguaggio. 

In merito alla descrizione dell’operazione di trasformazione sui materiali, Cataldi descrive il contatto con la materia rovente plastica come «irrinunciabile»; esso è, assieme alle scottature che ne conseguono,  la componente sacrificante del mestiere di artista. 

In un rimando figurato, le gocce roventi della saldatura che schizzano talvolta sulla pelle, sono le impronte delle lacrime della dea Pele,  che, sprigionate dalle profondità del magma, hanno creato le piccole formazioni laviche che si possono rintracciare nei pressi del vulcano (vedi immagine). 

Esse rappresentano il momento di contatto e di scontro con la materia, ne sono la traccia, la testimonianza, il segno. 

In quest’ottica di linguaggio, Francesca Cataldi ha realizzato numerosi libri d’artista -soggetto d’arte quest’ultimo di cui tratteremo approfonditamente nei prossimi itinerari-.

A un certo punto l’artista si è rivolta verso un progressivo e poi totale abbandono della tela, a favore della ricerca di una spazialità estensibile.

Peraltro, tale abbandono della tela per la ricerca di un piano espressivo più vasto, meno limitante, lo si riscontra anche in altri artisti della temperie culturale degli anni Settanta, si pensi alle Geografie di Maria Lai, o ai telai “attraversati” o avvolti dal collant di Renata Prunas.

Per Francesca Cataldi rispondono funzionalmente a tale necessità i pannelli in carta (vedi Il drago di carta, 1991), che divengono disposizioni continue del campo d’azione dell’artista:  

«a un certo punto (…) la tela non mi bastava più»

così che il pannello appaia come la giusta soluzione per una moltiplicazione di frame. Ulteriore approdo di tale necessità di prosecuzione orizzontale dell’immagine sul supporto è data dalle sperimentazioni dell’artista con i videotape e i digital video.

Il soggetto di queste registrazioni è il flusso continuo di gente comune assimilato dall’artista al flusso ininterrotto di scambio genetico fra i popoli nel corso del tempo. 

La resa di questo concetto di contaminazione è data dalla compenetrazioni del nastro magnetico alla carta.

Trovate i digital video dell'artista cliccando qui






Francesca Cataldi, Drago di carta, rete metallica, cellulosa, 150x1100x180 cm, 1991
le "lacrime di pele", ossidiana, Isole Hawaii

Per l'immagine dell'opera Drago di carta: Courtesy Archivio Francesca Cataldi, All Rights Reserved.

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